Teatro

'L'attore è come il prete: deve avere la vocazione'

'L'attore è come il prete: deve avere la vocazione'

Questo il diktat di Mario Scaccia. Figlio di un pittore, corsista mai diplomato all'Accademia d'Arte Drammatica di Roma, compagno d'arti di Mastroianni, Macario e Gassman. Uno dei massimi rappresentanti del teatro italiano, racconta lo spettacolo, tra crisi e onore della professionalità. Attore completo e istrione, Mario Scaccia ottiene i consensi più lusinghieri quando può offrire temperamento e pieghe del volto a personaggi come il Polonio dell'"Amleto", lo Shylock de "Il mercante di Venezia" o Fra' Timoteo de "La mandragola". Anche il cinema gli offre buone opportunità per caratterizzazioni ai limiti della caricatura. Ultima apparizione: "Ferdinando e Carolina" di Lina Wertmuller ma restano indimenticati il suo cameo ne "Le avventure di Pinocchio" di Comencini o i ruoli nei film di Fenoglio. Si parla molto della crisi del teatro. Lei cosa pensa delle promozioni che istituzioni e partner commerciali stanno attivando per invogliare il pubblico ad affluire nelle sale? Qualunque iniziativa porti pubblico nelle sale è lodevole. Quella, poi, avviata con Spettacolo Romano è assolutamente splendida. Il pubblico ha bisogno di un posto sicuro e vicino per poter prenotare il teatro. Non tutti hanno la possibilità di avere la giornata libera, di recarsi al botteghino in quella determinata ora per fare i biglietti o ancora di stare un fila ore per assicurarsi i posti migliori. Anche il telefono ed internet sono dei mezzi da potenziare al riguardo. Strumenti necessari, direi, ed utili anche per chi è della mia generazione. Lei ha potuto constatare di persona il denunciato calo di affluenze degli spettatori? A dire il vero sono da una settimana al Quirino con "La Mandragola" e ci rimango ancora una settimana ma quello che ho visto è un teatro sempre pieno. Io credo che sia vero che un certo impoverimento nell'interesse c'è, ma sono altrettanto sicuro che quando si lavora con onestà, senza intellettualizzazioni forzate o ampollosità di maniera, il teatro continua a funzionare ancora oggi. E questo mi fa sempre piacere anche perché, al di là delle defezioni che questa iniziativa cerca di sanare, mi piace dimostrare che un nome altisonante e classico come Machiavelli, spogliato di pesantezze e forzature, tira ancora. In quali progetti è impegnato quest'anno? Sono stato già al Brancaccino di Roma per 20 giorni con "Il canto del Cigno". Ora aspetto la turnè de "La Mandragola". Fra' Timoteo è uno dei miei cavalli di battaglia. E per gli amici di Roma, una promessa: se ci sarò ancora - sorride -, l'anno prossimo tornerò in qualcuno dei vostri bei teatri. Qual è il più bel ricordo della sua carriera? Quando la vedova di Ettore Petrolini entrò nel camerino del Teatro Quirino alla fine della pièce "Chicchignola", per la regia di Maurizio Scaparro, dicendomi, commossa, che non mi ero limitato e rievocare il comico ma le avevo ridato il suo uomo. Cosa vorrebbe dire ai giovani che si avvicinano a questa professione? Questo è un mestiere che ha bisogno di una vocazione. Chi si vuole cimentare deve crederci come fa chi si fa suora o frate. Non credo molto nelle scuole di teatro in quanto solo in matematica 2 più 2 fa 4. Io sono per l'improvvisazione: quella capacità di gestirsi capace di salvare da situazioni pericolose.... Lo slittamento recitativo di Petrolini, per intenderci. Chi è stato il suo maestro? Io stesso: a tre anni già calcavo il palcoscenico seguendo mia zia che era nella Filodrammatica. La vera palestra è stato il boccascena insieme a compagni come Tofano, Memo Benassi, Luigi Cimara che mi hanno insegnato l'arte recitativa.